Il “Maschio Alfa”non è mai esistito
Il concetto di “maschio alfa” ha dominato la nostra comprensione della natura dal 1947, dipingendo un quadro di ferree gerarchie animali governate dalla forza e dall’aggressività maschili: dal lupo dominante che comanda il branco al primate che impone la propria volontà questa visione ha influenzato i nostri modelli di mascolinità e leadership. Anche se si basava su un presupposto errato, su uno “sbaglio” della scienza.
La nuova ricerca che cambia tutto
Pubblicato questo mese sulla prestigiosa rivista Pnas, lo studio di un team franco-tedesco guidato da Elise Huchard dell’Università di Montpellier, che ha analizzato 253 popolazioni di 121 specie diverse di primati, inclusi scimmie, lemuri, tarsi e lori, esaminando migliaia di interazioni per cinque anni.
I risultati sono stati rivoluzionari:
- Solo nel 17% delle popolazioni studiate si osserva una chiara dominanza maschile.
- Le femmine dominano nel 13% dei casi.
- Nel restante 70%, non esiste alcuna dominanza sistematica basata sul sesso.
La ricerca ha anche rivelato che gli scontri tra maschi e femmine sono molto più frequenti di quanto si pensasse, rappresentando in media più della metà delle interazioni aggressive all’interno di un gruppo.
Quando la dominanza maschile si manifesta, è quasi sempre legata a evidenti vantaggi fisici, come corpi o denti più grandi. Si osserva principalmente nelle specie che vivono a terra, dove le femmine hanno meno possibilità di fuggire.
La dominanza femminile, invece, si basa su strategie diverse, spesso legate al controllo sulla riproduzione. Il caso dei bonobo ne è un esempio lampante: a differenza di altre specie di primati dove l’estro è palesemente visibile, le femmine di bonobo hanno evoluto un sistema che rende quasi impossibile per i maschi determinare con certezza il loro periodo fertile. Mantengono gonfiori genitali per lunghi periodi e possono essere sessualmente attive anche al di fuori dell’ovulazione.
Questa “segretezza” biologica conferisce alle femmine un incredibile potere negoziale: non potendo prevedere il momento ottimale per la riproduzione, i maschi non possono imporre la loro scelta e sono le femmine a scegliere liberamente il partner, senza subire imposizioni gerarchiche.

Allora, come è nato il mito del maschio alfa? La sua storia ha origine nel 1947, quando lo zoologo svizzero Rudolph Schenkel studiò il comportamento dei lupi in cattività. Schenkel osservò che questi animali, confinati insieme in un ambiente artificiale, sviluppavano rigide gerarchie dominate da una coppia “alfa” che controllava il gruppo attraverso l’aggressione.
Il termine fu poi reso popolare da David Mech nel suo influente libro del 1970, ma fu lo stesso Mech, dopo decenni di studi sul campo, a disconoscere la sua teoria. “Quando scrissi il mio libro nel 1970, tutto quello che sapevamo derivava da osservazioni di lupi non imparentati tra loro, ma confinati insieme”, spiegò Mech. Grazie ai primi studi sui lupi selvatici, capì la verità: un branco di lupi è una famiglia. Parlare di “alfa” e “beta” in questo contesto perde ogni senso. “Che valore ci sarebbe nel chiamare un padre umano il maschio alfa?”, chiese retoricamente Mech. “È semplicemente il padre della famiglia. Ed è esattamente così che funziona con i lupi”.
Anche il primatologo Frans de Waal, che nei suoi primi lavori utilizzò il termine per gli scimpanzé, si riferiva all’individuo con “maggiore accesso alle risorse” e “rispettato come leader”, non all’aggressore. Già a partire dagli anni ’80, il concetto fu distorto, associato a forza fisica, potere e aggressività, alimentando un’immagine mediatica del “vero” uomo che usa intimidazione e scaltrezza.
Il maschio alfa e le donne
Il mito del maschio alfa non regge nemmeno nel contesto dell’attrazione umana. Sebbene molto presente nella letteratura rosa e forse nelle fantasie erotiche, nella vita reale non piace affatto. Studi in psicologia sociale dimostrano che le donne non sono attratte da uomini aggressivi e dominanti. Uno studio del 1999 di Burger e Cosby rivelò che “nessuna donna indicava un uomo esigente e aggressivo come attraente”.
Gli aggettivi più associati all’attrattiva erano invece “sicuro di sé, assertivo, tranquillo e sensibile”, un uomo con “bassi livelli di aggressione” che non fosse “esigente o dominante”.
Questo riflette la distinzione scientifica tra dominanza e prestigio. La prima si ottiene con minacce e coercizione, creando relazioni instabili. Il prestigio, al contrario, si basa su “capacità di mediazione e cooperazione”, empatia e cura degli altri. La leadership basata sul prestigio è sempre più efficace e duratura di quella basata sulla dominanza.
Il lavoro di Elise Huchard e altri scienziati ci invita a riconsiderare i nostri preconcetti sulla natura e sulla società. Come sottolinea Peter Kappeler, sociobiologo del Centro Primati Tedesco, “gli argomenti che presentano il patriarcato umano come un’eredità dei primati appaiono fuorvianti”. L’essere umano, infatti, non presenta le caratteristiche tipiche delle società dominate dai maschi, e i nostri modelli di comportamento sono allineati con quel 70% di specie che non mostrano una chiara distinzione di dominanza basata sul sesso.
Il mito del maschio alfa è un’invenzione umana, non un riflesso della natura. La vera forza, in natura come nella nostra società, risiede nella cooperazione, nell’empatia e nel rispetto reciproco, non nell’imposizione aggressiva.


