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Locusta, dispensatrice di veleni

“Avvelenatrice seriale”, “prima serial killer della storia”, “prima strega”, sono alcune delle espressioni – spesso risibili sul piano storico – con cui viene presentata Locusta o Lucusta, un oscuro (ma neanche molto) personaggio femminile dell’antica Roma.

Chi era Locusta?
Si parla di una donna nata in qualche posto della Gallia, dove aveva appreso le conoscenze di erbe, piante, pozioni, distillati e veleni. Giunse a Roma intorno all’anno 40 e aprì una bottega sul Palatino. Divenne rapidamente famosa, sia tra i popolani che i potenti che si avvalevano delle sue pozioni per interrompere gravidanze, guarire, uccidere un marito, un amante o un testimone “scomodo”. La ricostruzione, fin qui, non viene dalle fonti ufficiali ma da quanto tramandato e romanzato. Coincide con una delle molte figure femminili – chiamate herbariae – con conoscenze erboristiche presenti nella Roma del periodo e intorno alle quali aleggiava un po’ di paura e un po’ di condanna, sia perché i romani credevano profondamente nella magia – e la temevano – sia perché di queste donne avevano un po’ tutti bisogno, prima o poi. Ecco perché non è un personaggio poi così “oscuro”.

C’è anche da aggiungere che nella mentalità dell’epoca, le donne erano associate al veleno e i processi e le condanne per uso del venenum erano abbastanza comuni. Già le leggi romulee prevedevano che il marito potesse ripudiare la moglie in caso di tentato avvelenamento. Il veleno aveva un ruolo primario tra i potenti, dove non mancavano gli assaggiatori, proprio per prevenire questo tipo di eventualità.
Svetonio (De vita Caesarum, Tiberius, LXII) riferisce che Druso, figlio dell’imperatore Tiberio, fu avvelenato dalla moglie Livilla e da Seiano. Non menziona chi fornì il veleno, ma racconta che la vendetta dell’imperatore non risparmiò a nessuno torture e sevizie.

Tutto questo solleva una domanda: perché non sappiamo il nome di chi fornì il veleno che uccise Druso ma conosciamo quello di Locusta?

Cosa aveva di speciale Locusta? Perché solo il suo nome – fra quello delle tante “erboriste” – ha attraversato i secoli? Solo per la sua “bravura”? O c’è qualche altro motivo?
Molto probabilmente il motivo è che – da un certo momento in poi – Locusta entra nella cerchia di Nerone, imperatore intorno al quale è in atto una campagna denigratoria che dura ininterrottamente da due millenni. Una dannazione della memoria che è andata molto oltre il suo significato originario di “cancellazione” per assumere quello più letterale di demonizzazione.
Tacito (Annales, XII, LXVI – LXVII) ci racconta che Agrippina Minore (madre di Nerone) desiderava un veleno raffinato, con un effetto lento e progressivo, per eliminare il marito imperatore Claudio. Scelse quindi una nota e “abilissima avvelenatrice” di nome Locusta, un vero e proprio “strumento del regno”, poco prima condannata per veneficio. Dunque era “pregiudicata” come si direbbe oggi, famosa, usata dai potenti e abile.
Il veleno fu preparato e somministrato da un eunuco di nome Aloto, forse assaggiatore di Claudio. La sostanza fu messa su una pietanza di funghi, di cui l’imperatore era ghiotto. Ma qualcosa non funzionò come da programma e allora Agrippina coinvolse il medico personale Senofonte, che cacciò nella gola imperiale una piuma intinta di veleno.
Svetonio (De vita Caesarum, Claudius, XLIII – XLV) riferisce che a far fallire la prima somministrazione fu il fatto che l’imperatore era molto ubriaco e vomitò tutto, al che fu necessario ricorrere a un secondo tentativo, con una poltiglia o un clistere.

Analogo ruolo fu svolto da Locusta per la morte di Britannico, figlio di primo letto di Claudio. A commissionare il veleno – secondo Tacito (Annales, XIII) e Svetonio (De vita Caesarum, Nero, XXXIII) – fu proprio Nerone. Britannico era popolare e stava per raggiungere la maggiore età (14 anni), dunque poteva essere un rivale al trono. Il primo veleno procurò al ragazzo solo qualche problema intestinale, Nerone rimproverò e picchiò Locusta e la costrinse a crearne uno nuovo, che fu testato prima su un capretto e poi su uno schiavo. Ottenuto il risultato auspicato, dopo la morte di Britannico, Locusta ebbe impunità, protezione imperiale, ricchezza, possedimenti e autorizzazione ad avere apprendisti.

Riflettiamo. La morte di Britannico avvenne in un periodo in cui Nerone aveva 17 anni ed era sotto il pieno controllo di Agrippina, Burro e Seneca. Che Nerone abbia avuto autonomia decisionale per un atto così importante non è plausibile. L’azione, sul piano politico, era chiaramente dettata dalla ragion di Stato per evitare una possibile guerra civile o un colpo di stato (entrambe opzioni molto probabili dopo la maggiore età di Britannico), inoltre Agrippina – che aveva per anni lottato per arrivare a porre suo figlio al potere – avrebbe immediatamente perso ogni controllo sull’impero. Il potere di Agrippina in questo momento è tale da farsi raffigurare insieme al figlio sul dritto della monetazione imperiale ufficiale sia sugli aurei che sui denari e i sesterzi, un caso senza precedenti che rompe ogni tradizione.

Locusta, dispensatrice di veleni
Per quanto riguarda Locusta, la donna prosperò probabilmente fino alla morte di Nerone, e la sua fortuna cessò – come prevedibile – insieme a quella del suo protettore. Morì, infatti, nel 69, condannata a morte da Galba, nel corso della sua feroce campagna di epurazione nei confronti di tutti coloro che erano stati fedeli a Nerone.

Svetonio e Tacito sono sostanzialmente le uniche fonti sia per Locusta che per Nerone e non sono affatto “asettici”. Entrambi sono ostili alla dinastia Giulio-Claudia, desiderosi di dimostrare che il regime imperiale era depravato, malvagio e tirannico. Entrambi si rivolgono alla classe senatoriale, enfatizzando i toni oscuri proprio per precisi obiettivi politici. Insomma è come leggere la biografia di Elly Schlein scritta da Giorgia Meloni o viceversa.

Ecco che Locusta non è più una delle herbariae, ma qualcosa di diverso, malvagio, con Giovenale (Satire, I, 71) che la erge ad archetipo della donna corrotta e assassina, che presta la sua arte oscura al male assoluto (Nerone, appunto).
Allo stesso modo in cui Nerone l’archetipo del male, accusato di ogni perversione e nefandezza.

Sì, la manipolazione della storia e dell’opinione pubblica, non è cosa nuova.

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