Lo stato che strappa i figli: l’emergenza silenziosa
La vicenda della “famiglia nel bosco“ di Palmoli non è un caso isolato, ma l’eco mediatica di una prassi che l’ex giudice minorile Francesco Morcavallo definisce, senza mezzi termini, “disumana” e basata sul “controllo sociale”.
L’italia si scopre nuda di fronte ai suoi 30.936 minori strappati alle famiglie d’origine e collocati in affido stabile o, peggio, in comunità residenziali per almeno cinque notti a settimana. Un incremento dell’1% sul 2022 che non è solo una cifra statistica, ma il segno tangibile di una ferita sociale profonda e di un sistema di protezione che, troppo spesso, cede alla logica dell’intervento coatto invece che a quella del supporto.
Le accuse lanciate dall’ex giudice minorile Morcavallo sono devastanti e mettono in discussione l’intera architettura del sistema affidi:
“Nel 99% dei casi le decisioni di allontanamento non si basano su fatti, ma su giudizi soggettivi: valutazioni sulla personalità dei genitori, sul loro stile educativo, su come vivono, su ciò che ‘potrebbero’ fare o non fare.”
Viene il fondato sospetto che l’interesse oggettivo maggiore non sia il benessere dei bambini ma il sostegno economico del circuito di comunità, cooperative, psicologi e professionisti convenzionati, che hanno bisogno di mantenere alti i numeri: più minori sottratti alle famiglie, più soldi nel sistema. Ecco che l’allontanamento non è più l’estrema ratio per salvare un minore da un pericolo certo, ma un meccanismo ben oliato che alimenta una spesa pubblica ingente. Ecco che i figli vengono tolti alle famiglie con motivazioni fragili, spesso riconducibili a condizioni di disagio socio-economico o a stili di vita non standardizzati.
Il dato fornito dal ministero del lavoro (30.936 minori in affido stabile o comunità) si scontra con l’allarme di Morcavallo, che parla di “35mila minori allontanati immotivatamente ogni anno”. Una discrepanza che impone un’urgenza di trasparenza sui criteri decisionali.
I numeri ufficiali confermano il ricorso massiccio e automatico alla misura coercitiva:
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Gli affidi decisi direttamente dal tribunale rappresentano il 75% del totale e sono in aumento.
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In regioni come Basilicata (99,1%), Sicilia (92,4%) e Calabria (93,7%), la via giudiziaria è la modalità quasi esclusiva.
Questo significa che sono tutti interventi coercitivi estremi per proteggere il minore da un danno “accertato“. Ma è davvero sempre accertato?
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Secondo una ricerca dell’università di padova, il 50% dei genitori sottoposti a procedimenti per la sospensione della responsabilità genitoriale hanno poi potuto dimostrare l’infondatezza delle accuse, ottenendo il ritorno a casa dei bambini.
Questo significa che nella metà dei casi il sistema ha sbagliato e migliaia di bambini sono stati ingiustamente traumatizzati.
I magistrati minorili sbagliano nella metà dei casi? E qual è il costo umano di questo errore, di questo “trauma da separazione primaria” che lascia i bambini segnati da disturbi dell’attaccamento e dall’ansia?
C’entra qualcosa la disobbedienza alle imposizioni statali, magari al vaccinismo della dittatura sanitaria o al nuovo “come dovrebbe essere” la famiglia “ideale”?
Oggi tale “ideale”, peraltro molto “liquido”, prevede una casa grande e pulita, che i figli vadano a scuola (anche se la legge prevede l’istruzione parentale a casa), siano curati secondo i canoni della Medicina ufficiale, a partire da innumerevoli vaccinazioni, e poco altro. Non importa se i bimbi mangiano porcherie, vengono lasciati per ore davanti alla tv o sul web, non abbiano alcun contatto con la natura. L’importante è l’omologazione completa e acritica al sistema socioculturale.
È certamente giusto e doveroso proteggere i minorenni quando le loro famiglie sono responsabili nei loro confronti di maltrattamenti, violenze sessuali, degrado o induzione di reati o alla prostituzione. Ma sembra che fin troppi bimbi siano sottratti alle famiglie solo perché queste sono povere o anticonformiste.
La Cassazione ha riconosciuto il diritto al risarcimento per i genitori vittime di allontanamenti ingiustificati, ponendo una responsabilità diretta sui comuni per la negligenza dei loro operatori:
La sentenza n. 20928 del 2015 della corte di cassazione ha condannato un comune riconoscendo il danno subito da due genitori cui era stata sottratta la figlia sulla base di una segnalazione non verificata. Il principio è chiaro: l’allontanamento d’urgenza (ex art. 403 codice civile), se privo di presupposti concreti e urgenti, rende il comune responsabile del “danno grave e traumatico” causato al nucleo familiare.
Questo solleva la questione fondamentale dell’“inidoneità genitoriale”, la motivazione più usata (circa l’80% dei casi) che, per la sua natura soggettiva e opinabile, si presta a innumerevoli abusi e infiltrazioni di giudizi morali o economici nelle valutazioni professionali.
La garante per l’infanzia, Marina Terragni, ha lanciato un allarme esplicito sul “metodo forzoso” utilizzato per i prelievi, chiedendo un incontro ai ministri competenti per definire un protocollo nazionale.
La brutalità con cui vengono eseguiti gli allontanamenti in assenza di rischi imminenti è a dir poco inquietante. A tal proposito, la pronuncia corte di cassazione n. 9691 del 2022 ha stabilito che l’uso di “una certa forza fisica diretta a sottrarre il minore dal luogo ove risiede… non appare misura conforme ai principi dello stato di diritto” perché:
“potrebbe cagionare rilevanti e imprevedibili traumi per le modalità autoritative che il minore non può non introiettare, ponendo seri problemi, non sufficientemente approfonditi, anche in ordine alla sua compatibilità con la tutela della dignità della persona.”
In sintesi, la suprema corte censura le procedure che trasformano l’atto di protezione in un atto di violenza psicologica, un prelievo traumatico che nega la dignità del minore e ignora l’imprescindibilità del suo ascolto.
Il fallimento del sistema è certificato anche a livello europeo. L’italia è stata più volte condannata dalla corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) non solo per la negligenza degli operatori, ma per aver interrotto i rapporti con i genitori senza aver prima attuato un adeguato sostegno alla genitorialità. L’europa condanna lo stato quando questo preferisce recidere il legame familiare invece di ricucirlo, dimostrando che l’abuso di potere non è un incidente isolato, ma una negligenza di sistema.
Di fronte a un sistema che preferisce l’intervento drastico (affido eterofamiliare nel 61,8% dei casi) al supporto (gli affidi consensuali restano marginali), si impone un cambio di rotta radicale. Le famiglie fragili non sono sempre famiglie colpevoli o pericolose; spesso sono famiglie povere, sole, con difficoltà psicologiche che vanno sostenute, non punite.
La giustizia, come ribadito dalla Cassazione, non può essere solo norma e burocrazia, ma deve essere ascolto ed empatia. Continuare ad allontanare bambini sulla base di “giudizi sulla personalità” o di un meccanismo economico auto-alimentato non è tutela, è un atto di violenza istituzionale che rischia di rovinare migliaia di vite. Lo Stato ha l’obbligo di intervenire, ma deve farlo con il filo che ricuce, non con il bisturi che recide.


