Un caso di cronaca italiana abbastanza recente è lo spunto per alcune riflessioni.
Il fatto. Una coppia anglo-australiana, Nathan Trevallion (mobiliere di pregio) e Catherine Birmingham (insegnante di equitazione), dopo aver condotto una vita internazionale, si trasferiscono in Abruzzo nei pressi di Teramo. Lui è sopravvissuto ad un grave incidente in Taxi, entrambi vogliono cambiare vita. Stare a Teramo non è sufficiente, cercano qualcosa di ancora più naturale. Trovano quel che desiderano in un paesello in provincia di Chieti e decidono di crescere i loro tre figli nel modo in cui vivevano i nostri nonni e bisnonni, in una casa essenziale, fuori dal piccolo nucleo abitato di Palmoli, nei boschi. Lontani dalla “tossicità della società”.
Scelgono dunque l’istruzione domestica per i loro bambini, con il supporto di un’insegnante privata e uno stile di vita semplice, essenziale, integrato nella natura. Nel 2024 la famiglia ha un problema di intossicazione da funghi e ricorre alle cure dell’ospedale e i sanitari ritengono doveroso segnalare la situazione.
Per inciso, ogni anno in Italia si verificano circa 10.000 casi di intossicazione da funghi, nel 90% concentrati nel trimestre settembre-novembre, periodo in cui si raccolgono spontaneamente. Circa il 12% , secondo i dati ISS, coinvolge bambini da 0 a 14 anni. Ci saranno altrettanti casi di segnalazioni ai servizi sociali per avviare il relativo controllo al fine di stabilire se i bambini intossicati sono in sicurezza nelle rispettive famiglie?
Ma torniamo alla famiglia nel bosco. Nel 2025 si arriva all’intervento massiccio delle forze dell’ordine e degli assistenti sociali, che tolgono i bambini ai genitori perché, per il nostro sistema giudiziario, è minato il diritto dei minori alle relazioni sociali, le condizioni di vita non sono in sicurezza, l’igiene non è garantita e l’istruzione domiciliare non è conforme. L’avvocato ha fatto ricorso, contestando i vari punti, ma nel frattempo solo grazie a una decisa mediazione sono riusciti ad ottenere che la mamma stia con i figli nella casa famiglia. La potestà genitoriale è sospesa. La famiglia spezzata.
Ma come viveva questa famiglia nel bosco?
L’abitazione è un’ex casa colonica isolata, priva di allacci ai servizi (off grid). C’è un pozzo per attingere acqua, una roulotte con un bagno chimico. Una stufa a legna per riscaldarsi e cucinare, pannelli solari per l’illuminazione, quindi l’orto e gli animali per la sussistenza. Una vita quasi completamente autosufficiente, priva di ritmi forsennati, di consumismo, di iper-tecnologia. Le immagini mostrano stanze pulite, arredi minimali, semplici. Bambini puliti, ben nutriti e sorridenti.

Ma per la società occidentale questo non è concepibile.
Bambini senza decine di vaccinazioni, smartphone, giochi tecnoligici e abiti firmati?
Bambini che fanno pipì nel cespuglio? Che non usano plastica, pvc e pet?
Che vivono cosa sia una gallina e da dove vengano le uova o il latte in prima persona? Uova di galline che pascolano senza bollino e certificazione? Latte munto dalle mammelle della mucca e non dal cartoccio in frigorifero? Che si svegliano al sorgere del sole col canto degli uccelli e il fruscio delle foglie? Che non stanno ore sui social o davanti alla TV?
Istruzione a casa, senza insegnanti, assistenti, e altri ragazzini iper-viziati che li stigmatizzano perché non hanno la maglietta e lo zainetto firmati?
Giammai! Sicuramente sono in pericolo, bisogna intervenire, bisogna toglierli da dove sono e metterli al sicuro, in una bella casa famiglia. Così non si traumatizzano.

È stato stigmatizzato l’esponente politico che ha paragonato questa vicenda con quanto non avviene nel caso dei bambini Rom. Eppure il suo paragone è più che logico per sottolineare il doppio binario di valutazione.
I bambini Roma li vediamo tutti: scalzi, sporchi, maleodoranti, costretti a elemosinare (che è reato). Che istruzione ricevono? Quali condizioni di vita vengono loro garantite in accampamenti dove il volume dell’immondizia sovrasta quello delle roulotte? Ma in quel caso, per il rispetto della loro cultura e stile di vita, va tutto bene.
Allo stesso modo, quanti bambini non vengono allontanati da genitori violenti e abusanti e poi magari finiscono uccisi? Perché in quel caso si evita di spezzare la famiglia, pur se immeritevole di tale definizione?
Se invece è una coppia occidentale, istruita, “di mondo”, a scegliere di abbandonare la civiltà e portare fuori dal mondo i propri figli, senza costringerli ad adeguarsi ad una vita che ogni psicologo non può che definire “alienante”, allora non va bene. Bisogna intervenire.
Non è obbligatorio per legge essere allacciati a elettricità e gas. È obbligatorio garantire l’istruzione ai figli, ma non esclusivamente attraverso la scuola. Può essere fatto a casa, seguendo un certo iter. La famiglia sostiene di averlo seguito, il tribunale dice di no. Pare che qualche foglio ministeriale di approvazione non si trovi, ma l’avvocato difensore sostiene ci sia.
Se fosse vietato fare pipì al di fuori di un bagno allacciato in fognatura, bisognerebbe arrestare migliaia di persone, soprattutto dopo che si ubriacano, perché la fanno ovunque (solitamente sui muri e sui cancelli degli altri).
Nathan e Catherine non hanno abusato dei figli, non li hanno maltrattati, non hanno commesso reati. Eppure questa famiglia è stata spezzata.

Si parla tanto di inclusione, di rispetto della diversità e di essere più “green”, ma rischiano di essere solo parole vuote, come dimostra questo caso. Il diverso, il veramente “green”, viene – di fatto – criminalizzato.


