Il Demiurgo schizzato e le carnalità affermate
di Ezio Albrile
Negli studi seri, quelli con le note a piè di pagina che si moltiplicano come conigli e le citazioni in greco o in avestico per darsi un tono, si dimentica troppo spesso la buffonata dell’esistenza. Eppure il mondo, come affermava un Demiurgo demente spacciatosi per Dio, non fu creato col Logos, ma con una gran pernacchia primordiale.
E così, nel deserto delle cattedre iranistiche, tra Zurwan e Mani, tra l’astrolatria e le estasi con vista sull’abisso, qualche studioso ringiovanito precocemente ha trovato un tesoro: non oro né incenso, ma il santo Graal dell’erotismo persiano, un poeta di nome ʿObeyd Zâkâni. Uno che, nella Shiraz del Trecento, cantava non di rose e di usignoli, ma di cazzi e somari. Il suo poema sulla masturbazione è un piccolo trattato di teologia manuale: lode al solitario, elogio dell’autosufficienza. E tutto avviene nel “vico dei Magi”, che – spoiler – non è il posto dove vendono spezie e incensi, ma il quartiere dei froci mistici.
E lì, tra un gemito e un mantra, l’eiaculazione diventa cosmogonia: ogni schizzo è una stella, ogni sospirone un nuovo pianeta. “Fiat Lux”, e fu sperma.
A dire il vero, non è roba nuova: già Mircea Eliade aveva annusato nell’aria il profumo di certe cosmografie smanettanti. Gli gnostici – quelli del serpente, dell’androgino e del Dio che crea per sbaglio – avevano fatto del sesso un linguaggio cifrato. La gnosi, in fondo, è come un amplesso metafisico: o lo capisci col corpo, o non lo capisci affatto.
Gli gnostici erano gente fantasiosa. Immagina un gruppo di hippie alessandrini con la passione per la metafisica e i pettegolezzi biblici: il Serpente non è cattivo, il Dio dell’Antico Testamento è un cretino, e il mondo è stato costruito da un architetto ubriaco chiamato Ialdabaoth, “Padre del Caos”, che avrebbe perso il manuale d’istruzioni a pagina uno. Gli uomini? Un prototipo venuto male, animato per sbaglio da un soffio divino di troppo.
Poi c’è Sophia, la Sapienza, che in un impeto di curiosità (curiosità femmina, quindi pericolosa) cade dal cielo e piange tanto da formare la materia. Dalle sue lacrime nasce il mondo, che è un pianto solidificato. E noi, poveri figli di Sophia, viviamo tra due genitori separati: il Padre della Luce e il Demiurgo col vizio del bricolage cosmico.
E il sesso? Ah, quello è il canale diretto per fuggire dalla prigione del corpo. Alcuni gnostici si facevano santi per astinenza, altri per eccesso: i Carpocraziani, ad esempio, predicavano il “coito terapeutico”. “Combatti il desiderio con più desiderio”, dicevano. “Accoppiati con me, e ti porto dall’Arconte”, sussurrava la mistica con occhiate da gatta di Tebe.
Non diversamente, secoli dopo, a Napoli, Suor Giulia Di Marco e Padre Aniello Arcieri – due anime libere o due libidinosi con l’alibi teologico – fondarono una confraternita del piacere sacro. Messe con lenzuola, rosari srotolati come stringhe di perle carnali, e la viceregina stessa tra le devote. Si chiamava estasi, ma pare ci fosse parecchia ginnastica.
Naturalmente l’Inquisizione non gradì. Eppure, più che le posizioni del Kamasutra liturgico, la Chiesa temeva il loro potere economico: il peccato originale è sempre la concorrenza. Così Suor Giulia finì sotto processo, e Padre Aniello fu riscoperto secoli dopo come precursore del sesso tantrico partenopeo.
Ma non è tutto. Nei faldoni polverosi dell’Archivio Vaticano giace la storia di un’altra suorina, Cristina del Rovales, che dichiarò di essersi fatta il Demonio. Letteralmente. Lui appariva in forma di giovane, la toccava, la infilava e, dicono gli atti, “le dava diletto”. In tribunale ammise tutto con una certa nostalgia. Condannata per libidine demoniaca e per aver simulato estasi divine – il che in fondo è la stessa accusa rivolta a metà dei mistici.
Si direbbe che l’erotismo proibito sia la vena carsica della cristianità. Cancellata la pornografia dei pagani, i santi ne inventarono una spirituale, più sottile e più vischiosa.
Forse aveva ragione l’onanista di Shiraz: tutta la conoscenza è una carezza che finisce in solitudine.
E il cosmo, in fondo, non è che il risultato di una grande, divina, segreta, masturbazione.


